giovedì 14 febbraio 2013

L'Atlante delle Nuvole

Ed eccoci alla quarta recensione, dedicata stavolta a un romanzo piuttosto particolare, di cui ho già praticamente rivelato il titolo lassù, nell’intestazione del post. Solo che ad alcuni suonerà più familiare se userò il titolo originale, che è poi quello utilizzato per la recente trasposizione cinematografica nonché per la ristampa del libro. E, visto che ci siamo, stavolta non c’è una sigla ma addirittura una colonna sonora!


Godetevi dunque il sestetto “L’Atlante delle Nuvole” di Robert Frobisher, mentre leggete una recensione che, come avrete capito, andrà a parlare di…

CLOUD ATLAS
di David Mitchell


Come al solito, due parole sull’autore: David Stephen Mitchell nasce in Inghilterra nel 1969. Ha scritto cinque romanzi, fra cui “Cloud Atlas”, che tra l’altro gli vale una nomination per il Booker Prize. Mitchell cresce in Worcestershire, frequenta la University of Kent e ottiene una laurea in letteratura inglese e americana, seguita da un master in letterature comparate.
Vive per un anno in Sicilia e per otto a Hiroshima, Giappone, prima di ritornare in Inghilterra. Attualmente vive in Irlanda, contea di Cork, con sua moglie Keiko e i loro due figli.
Mitchell soffre inoltre di balbuzie, e ha parlato del suo disturbo in un racconto semi-autobiografico dal titolo “Black Swan Green”. È inoltre uno dei patroni della British Stammering Association.



Riguardo a “Cloud Atlas”, è un romanzo dalla struttura molto particolare. Si tratta, infatti, di sei vicende intersecate fra loro come una matrioska, apparentemente slegate tranne che per piccoli rimandi (e ci vuole anche una discreta attenzione per riuscire a coglierli tutti).
Abbiamo, nello specifico:


- Il diario dal Pacifico di Adam Ewing
- Lettere da Zedelghem
- Mezze vite: il primo caso Luisa Rey
- La tremenda ordalia di Timothy Cavendish
- Il Verbo di Sonmi-451
- Sloosha Crossing e tutto il resto

Tutti i racconti, tranne l’ultimo, si interrompono esattamente a metà e passano alla vicenda successiva. La struttura è quella di un "1 2 3 4 5 6 5 4 3 2 1": “Sloosha Crossing e tutto il resto” funge da spartiacque, è da un lato l’elemento più piccolo della matrioska, dall’altro quello che racchiude tutte le altre storie.
Il romanzo è stato recentemente ristampato da Frassinelli, in occasione dell’uscita del film diretto dai fratelli Wachowski. Prima di passare dunque all’analisi dei singoli racconti e dei rimandi che li legano, ecco la copertina del romanzo nell’edizione che ho io e che riproduce la locandina del film:


Ecco la trama fornita dall’editore:

I sei protagonisti di "Cloud Atlas - L'atlante delle nuvole" vivono in punti e momenti diversi del mondo e del tempo, eppure fanno parte tutti di un unico schema, una specie di matrioska composta da sei personaggi uniti l'uno all'altro dal filo sottile e inestricabile del caso. Le loro anime si spostano come nuvole, passando dal corpo di un notaio americano di metà Ottocento, giunto su un'isola del Pacifico per assistere ai devastanti effetti del colonialismo, al giovane musicista che s'intrufola nell'esistenza di un celebre compositore belga tra le due guerre mondiali. Da un'intrepida giornalista che indaga sull'omicidio di uno scienziato antinucleare in piena guerra fredda, a un editore inglese in fuga dai creditori nella Londra anni Ottanta, sino a un clone schiavizzato nella Corea del prossimo futuro. Per arrivare infine all'alba del nuovo mondo - all'indomani dell'Apocalisse - e al suo primitivo, stupefatto abitante. I sei personaggi si trasformano vivendo avventure incredibili in un affascinante, inventivo viaggio nella Storia dalle grandi esplorazioni fino ai confini del mondo che verrà - e nell'anima stessa dell'uomo. Un romanzo generoso, un'apoteosi di sapori, colori e atmosfere che emoziona, stordisce e finisce dove tutto era iniziato. Un'epica storia del genere umano nella quale le azioni e le conseguenze delle nostre vite si intrecciano attraverso il passato, il presente e il futuro, mentre le nostre anime mutano cambiando per sempre il nostro destino.

Il primo dei racconti, come ho già accennato sopra, si intitola “Il diario dal Pacifico di Adam Ewing”. È ambientato nelle Isole Chatham nel 1850, e riprende la forma del diario di bordo. Ewing, un giovane notaio di San Francisco, si trova su una delle isole dell’arcipelago durante un viaggio per le Hawaii, e attende riparazioni alla sua nave. Durante il suo soggiorno assiste alla fustigazione dello schiavo Moriori Autua (provando pietà per lui), e conosce il dottor Henry Goose, un inglese che diventa ben presto suo unico amico e gli diagnostica un’infezione da parassiti. Si offre dunque di imbarcarsi sulla nave con Adam e di aiutarlo a guarire. Durante il viaggio, tuttavia, Ewing scopre che Autua s’è imbarcato clandestinamente; il Moriori lo prega allora di intercedere presso il capitano, in modo da convincerlo ad accettare i suoi servizi come marinaio. Ha, infatti, visto la pietà negli occhi di Adam durante la fustigazione e lo considera ormai un amico.
Questo è, in breve, il preambolo da cui la vicenda si snoda, senza dare ulteriori dettagli sulla trama del racconto per non rovinare la lettura a chi volesse approfondire.
Ecco le foto dei personaggi come sono mostrati nel film dei Wachowski:


David Gyasi as Autua
Jim Sturgess as Adam Ewing

Tom Hanks as Henry Goose

Lo stile di questo racconto, come ho detto, riprende quello dei diari di bordo. Da un lato, in effetti, le sei vicende sono altrettanti esercizi di stile: ognuna ne ha uno suo peculiare, che Mitchell è stato davvero bravo nel riprodurre. (Anzi, sarebbe molto interessante andare a leggere il romanzo in inglese, per godersi al meglio tutte le trovate e gli éscamotage linguistici utilizzati.) In traduzione, in effetti, questo racconto in particolare rende meno di quanto potrebbe: risulta un po’ forzoso l’inserimento di termini della lingua ottocentesca, e questo rallenta la lettura. Non che la traduzione sia fatta male, capiamoci, anzi leggendo qua e là qualche stralcio del romanzo in inglese l’ho trovata molto buona (anche perché tradurre un romanzo tanto denso non dev’essere lavoro semplice). Tuttavia, in una traduzione di per sé corretta, alcune parti avrebbero virtualmente potuto essere rese diversamente.
Andando a leggere anche la seconda parte del diario di Ewing, che poi è quello che va a chiudere il romanzo, si capisce però che proprio questo è il racconto in cui meglio si esplicita il senso dell’intero volume. Si parla di una società predatrice, Inglesi che sfruttano i Maori e Maori che sfruttano i Moriori. Il forte mangia, il debole soccombe, che si tratti di inganno o di pura forza bruta. Questo, nel racconto di Adam Ewing, viene esplicitato a chiare lettere.
E tuttavia ciò che c’è di bello, in questo come nelle altre vicende narrate, è che permane sempre una speranza, la speranza ossia che qualcosa possa cambiare.
Dalle ultime righe del racconto:


«[…]Ingenuo di un sognatore, Adam. Chi osa sfidare quell’idra dalle molte teste che è la natura umana paga il suo gesto con atroci sofferenze e con lui la sua famiglia! Quando esalerai l’ultimo respiro capirai che la tua vita altro non è stata che una piccola goccia in un oceano sconfinato!»
Ma cos’è l’oceano se non una moltitudine di gocce?


Col secondo racconto (“Lettere da Zedelghem”), che vede protagonista il giovane compositore Robert Frobisher, si fa un balzo in avanti nel tempo fino al Belgio del 1931. La forma è quella del romanzo epistolare, con lettere indirizzate da Frobisher al suo amico e amante Rufus Sixsmith, studente di Cambridge. 

Ben Whishaw as Robert Frobisher

James D'Arcy as Rufus Sixsmith

Robert Frobisher è un geniale quanto spiantato musicista, diseredato dal padre e tuttavia abbastanza furbo da riuscire a cavarsela con qualche espediente. Decide, per provare a cambiare le sue sorti, di lasciare l’Inghilterra e di dirigersi in Belgio, sulle tracce di una vecchia gloria della musica: Vyvyan Ayrs, vecchio compositore in ritiro, malato di sifilide e quasi cieco. Vuole offrirgli i suoi servigi come copista, in modo che possa tornare a comporre. Rendendosi conto del talento del ragazzo, Ayrs lo accetta nella sua vita: gesto, questo, che non sarà privo di conseguenze. Frobisher intreccerà una relazione sessuale con Jocasta, moglie di Vyvyan, e si innamorerà apparentemente ricambiato della loro figlia Eva (personaggio del tutto assente nella trasposizione cinematografica). Tutto andrà per il meglio, fino a che Frobisher non si troverà a dover scegliere fra il piegarsi alla dittatura di Ayrs e la propria reputazione. 

Jim Broadbent as Vyvyan Ayrs

Halle Berry as Jocasta Ayrs

In questo racconto lo stile si fa più fluido, vivace, amaramente ironico. Ne è complice il carattere di Robert, come anche la natura del suo personaggio stesso: è l’incarnazione dell’artista (tra l’altro, è lui a comporre il sestetto “Cloud Atlas”), un personaggio perennemente in movimento, in fuga  (bello il rimando alla “fuga” musicale). Il lessico, infatti, si fa ricchissimo di rimandi alla musica, all’orchestra, alla composizione. Il mondo è per Frobisher un mondo di suoni, di sinestesie, dove il colore e l’immagine stessi diventano musica. Stilisticamente, in effetti, è uno dei racconti più interessanti; viene accennato qui il concetto del “tutto torna”. La sinfonia che Ayrs intende comporre, ad esempio, si chiama “Eternal Recurrence”. È il concetto del girare in tondo, del percorrere gli stessi passi senza rendersene conto, del tornare negli stessi luoghi e del compiere le stesse azioni, non soltanto nella vita corrente ma anche in quelle anteriori e future. L’eterno ritorno che teorizzava Nietzsche.
C’è poi un rimando al primo racconto, poiché Robert trova e legge il “Diario dal Pacifico di Adam Ewing”. Fa la sua comparsa, inoltre, la voglia a forma di cometa che alcuni personaggi hanno sulla clavicola. Simbolo, pur se non viene mai esplicitato, dell’anima reincarnata. La cosa divertente è Mitchell non si limita a inserire un rimando al passato, ossia alla vicenda di Adam Ewing, ma anche un onirico rimando al futuro! Ossia a quello che, noi non lo sappiamo ancora, sarà il quinto dei racconti che compongono il volume.
Interessante anche un sottile rimando alla Genesi cristiana: dando per scontato che Frobisher sia proprio una reincarnazione di Adam (Adamo), si nota come in questa vita venga tentato da Eva: elemento, questo, che segnerà proprio l’inizio della sua caduta.

Il terzo racconto è: “Mezze vite: il primo caso Luisa Rey”.
Ambientato nella fittizia città californiana di Buenas Yerbas nel 1975, ha la struttura di un thriller e non essendo io particolarmente amante dei thriller è stato il racconto che mi ha entusiasmato meno.
La protagonista è Luisa Rey, una giovane giornalista che si trova, suo malgrado, coinvolta in un’investigazione su un caso più grande di lei. Si tratta infatti dei rapporti sulla sicurezza di una nuova centrale nucleare: malgrado i dati ufficiali, infatti, un rapporto redatto dal fisico Rufus Sixsmith dimostrerebbe che l’impianto è tutt’altro che sicuro e che anzi un guasto potrebbe provocare danni incalcolabili (si fa riferimento all’incidente di Three Mile Island, qui il Wiki: http://it.wikipedia.org/wiki/Incidente_di_Three_Mile_Island). Rufus Sixsmith è il primo legame col racconto precedente, e fra l’altro Luisa entrerà in possesso delle lettere di Frobisher, gelosamente conservate da Sixsmith. Tramite lui, comunque, la giornalista entra in possesso di una delle copie del rapporto che dimostra la pericolosità della centrale nucleare. Inizia così un’altra fuga per la vita.


Halle Berry as Luisa Rey



Il quarto racconto, “La tremenda ordalia di Timothy Cavendish”, è ambientato in Gran Bretagna ai giorni nostri. È un racconto in chiave comica – sia pure un poco amara – della vicenda di Timothy Cavendish, un piccolo editore che si trova, non senza colpa, minacciato da una banda di gangster. Con la scusa di proteggerlo, suo fratello lo fa rinchiudere in una sperduta casa di riposo dai confini invalicabili e sorvegliati dalla perfida infermiera Noakes. Da quel momento in poi, tutta la sua vita diventerà un rocambolesco tentativo d’evasione (l’ennesima fuga).


Hugo Weaving as Nurse Noakes
Jim Broadbent as Timothy Cavendish

Anche qui, c’è un rimando alla vicenda di Luisa Rey: Cavendish si trova fra le mani, e legge, proprio un manoscritto intitolato “Mezze vite: il primo caso Luisa Rey”. Diventa palese dunque che il legame fra i racconti è in primo luogo un legame letterario: i personaggi leggono le storie degli altri personaggi (o, in un paio di casi, le guardano). Questo si esplicita specie nella seconda parte del romanzo, dove la conclusione di un racconto rimanda direttamente all’incipit del successivo, creando uno splendido effetto a cascata che, fra l’altro, chiarifica molti punti oscuri e cattura il lettore rendendo la lettura dell’opera una vera discesa. Giunti alla seconda metà, infatti, si è perfettamente in grado di rimettere i tasselli a posto, la cesura fra un racconto e l’altro è meno netta e dunque la lettura risulta molto meno ostica: il meccanismo e gli stili sono ormai chiari, i mondi sono familiari e il lettore s’è abituato a fare i bagagli e a saltare dall’uno all’altro.
In questo racconto, il legame che emerge è anche quello dello spostamento: nel loro ripercorrere gli stessi sentieri, nel loro essere in fuga, in movimento, i personaggi prendono navi, prendono treni. I treni si fermano, ripartono, a intermittenze che ricordano quelle della stessa vita.
Timothy Cavendish, inoltre, si rivolge spesso direttamente a un ipotetico regista che dovrebbe trarre dalla sua storia un film. Elemento questo che sarà importante nella storia successiva.
Altri sottili rimandi legano Cavendish alla figura di Robert Frobisher. Non soltanto c’è un punto in cui chiama i suoi genitori “Mater” e “Pater”, come Robert, ma anche lui parla di un “atlante delle nuvole”:

“Cosa non avrei dato ora per una mappa immutabile dell’ineffabile sempre costante? Per possedere, per così dire, un atlante delle nuvole.”

Ecco dunque il concetto, di nuovo, dell’eterno ritorno come già l’aveva espresso l’eterno ragazzo Frobisher. Timothy invece è vecchio, ed è come se siano due facce della stessa medaglia. Uno giovane, l’altro anziano.

La penultima vicenda presentata è quella di Sonmi-451, ed è in assoluto la mia preferita. Siamo qui in ambito fantascientifico, in una Corea futuristica governata da una corpocrazia. Si tratta di un luogo in cui la sola religione esistente è ormai quella del denaro, una forma evoluta di società consumistica, dove i concepimenti, la morte, lo stesso corredo genetico degli individui vengono programmati e controllati. Una società, si scoprirà in seguito, che si regge sul tabù del cannibalismo (e di nuovo è sempre lo stesso concetto sotto altre forme: il forte mangia, il debole soccombe). La forma usata è quella dell’intervista, realizzata da un Archivista alla prigioniera Sonmi-451. Veniamo a scoprire che Sonmi è una cosiddetta “servente”, ossia un essere umano clonato le cui facoltà intellettive vengono ridotte al minimo e che viene utilizzato come schiavo nei lavori più umili. Queste serventi non sentono la necessità di farsi domande, non comprendono il mondo e il modo in cui vivono. Comprendono soltanto il trascorrere sempre uguale dei giorni, ma non hanno quello slancio interiore che spingerebbe una creatura dotata di ragione a ribellarsi. Sono poco più che degli automi, e tali vengono considerate.
Le giornate sempre identiche di Sonmi-451 vengono però spezzate da un’altra servente, Yoona-939. Quest’ultima s’è infatti appropriata di un tesoro dimenticato dagli umani, un libro di fiabe. Torna dunque il tema del libro, in generale l’importanza della cultura. È proprio dal libro, dalla conoscenza, che vedrà la luce il desiderio di ribellione e di innalzamento di Yoona, e avrà inizio l’ascesi di Sonmi. In un mondo che è prossimo alla fine della sua storia, Sonmi deve letteralmente imparare a pensare, e a venirle in aiuto sarà Hae-Joo Im, giovane universitario e comandante dell’Unione, un’organizzazione ribelle che si propone di usare gli artifici (gli esseri umani clonati, gli schiavi come le serventi) per scatenare una rivoluzione.

Doona Bae as Sonmi-451

Jim Sturgess as Hae-Joo Im (nel film chiamato "Chang",
ma nel libro Chang è un altro personaggio)

Anche qui si stabilisce un legame con le vicende precedenti, a partire dal fatto che Sonmi e Hae-Joo guardano un film intitolato “La tremenda ordalia di Timothy Cavendish” (sì, è esattamente quella storia di cui si è già parlato). Inoltre Sonmi, oltre a possedere la voglia a forma di cometa, ha un déjà vu che rimanda nientemeno che alla vicenda di Luisa Rey. C’è inoltre – e questo vale in generale anche per gli altri racconti – un ritorno dei luoghi: le Hawaii, per esempio, ma anche Swannekke, il sito in cui si trova la centrale nucleare nella vicenda di Luisa Rey.
Interessante è anche l’accenno ai sogni come “luoghi dell’anima”, in cui siamo altre anime, in altri tempi e in altri posti. Estrapolo una citazione anche da qui, una citazione che è un po’ ciò che regge non solo questa storia ma tutto il libro, nonché tutta la storia dell’umanità:

“In principio, c’è l’ignoranza. L’ignoranza genera paura. La paura genera odio, e l’odio genera violenza. La violenza crea altra violenza, finché l’unica legge diventa ciò che viene stabilito dal più forte.”

A partire da questo assunto si giunge a un finale che non rivelo ma che mi ha lasciato a bocca aperta, nonché abbastanza amareggiata, essendo tra l’altro diverso rispetto alla versione che ne danno nel film. Ma su questo tornerò fra qualche riga, ora è tempo di parlare dell’ultimo racconto: “Sloosha Crossing e tutto il resto”.
Questo è il solo racconto che viene presentato in soluzione continua, e fa da spartiacque con la seconda metà del volume. L’ambientazione è quella, già trovata, delle Isole Hawaii (anzi, Hi-Uay). Siamo però nel lontano futuro, dopo la Caduta dell’umanità (in seguito, verrebbe da dire, a una catastrofe nucleare): il mondo è tornato quasi interamente a uno stato tribale, in cui permangono tuttavia elementi della cultura e del linguaggio delle civiltà passate, ormai ridotte a leggende. Una di queste leggende è Sonmi, elevata al rango di divinità e venerata dalle popolazioni delle isole.
La vicenda è quella di Zachry, un giovane pastore che perde il padre e il fratello in seguito all’agguato di una tribù rivale. Innumerevoli sono in questo caso i rimandi alla religione cristiana, uno su tutti è rappresentato dai nomi stessi dei personaggi, quasi tutti nomi biblici: abbiamo Zachry, e poi Adam, e poi i nomi delle tribù: Kona e Abel. Impossibile non notare l’assonanza con Caino e Abele, e il conseguente rimando al fratricidio. Tuttavia, la filosofia predominante è derivata dall’antico buddhismo.
Oltre a queste tribù quasi selvagge, tuttavia, v’è un’altra popolazione: i cosiddetti Prescienti. Esseri dalla pelle perfetta, scura, molto simili fra loro, dotati di una propria lingua e di una tecnologia molto evoluta. Una donna della tribù dei Prescienti, Meronima, sceglie di trascorrere un po’ di tempo nella tribù di Zachry ufficialmente a fini di studio. Proprio nella borsa di Meronima, Zachry trova un “uovo d’argento”, una sorta di proiettore, in cui vede la storia di Sonmi-451 come era stata registrata, molti secoli prima, dall’Archivista. Meronima chiede dunque di essere accompagnata sul Mauna Kea, la cima più alta dell’isola, in cui si dice dimori il diavolo. Zachry si offre di andare con lei, e io non rivelo ciò che troveranno in cima alla montagna. Mi limito, come sempre, a rimarcare quel concetto di speranza che pure ritorna sempre, con una citazione:

«[…]Ascolta, selvaggi e civilizzati non sono separati da tribù, da credenze o da montagne, no, ogni essere umano è tutte e due le cose. Gli Antichi possedevano la Forza delle divinità, ma erano pure selvaggi come sciacalli, ed è questo che ha generato la Caduta. Ho conosciuto selvaggi nel cui petto pulsa uno splendido cuore civilizzato. Forse pure qualche Kona. Non così tanti da condizionare l’intera tribù, ma chissà, un giorno forse? Un giorno.»
‘Un giorno’ era una minuscola speranza, più piccola di una pulce.
«Sì,» ricordo che Meronima ha detto, «ma non è mica facile sbarazzarsi delle pulci.»

Tom Hanks as Zachry

Halle Berry as Meronima

Questo è lo stesso concetto che viene espresso da Adam Ewing esattamente alla fine del libro. Ogni azione, in qualche modo, è legata al futuro e lo influenza: sia esso futuro prossimo, o futuro di centinaia d'anni.
Io spero davvero, se siete arrivati a questo punto, di essere stata abbastanza chiara in questa recensione. Come avrete capito si tratta di un libro parecchio denso, dunque non facile né da commentare né da riassumere. Il filo che lega i racconti, in effetti, è piuttosto sottile ma, come avete visto, c’è. Ed è un filo che, bene o male, lascia dentro qualcosa. Questo romanzo, infatti, ha il gran merito di fare riflettere: sull’anima, sul futuro dell’umanità, sul suo passato, su tanti altri quesiti antichi quanto il mondo e destinati, probabilmente, a rimanere irrisolti.
È interessante come, a un livello puramente strutturale, i vari racconti siano contemporaneamente reali e fittizi. Sono fittizi poiché si tratta di diari, lettere, narrazioni e film letti e guardati di volta in volta dal protagonista del racconto successivo; sono reali nel momento in cui noi li leggiamo coi nostri occhi. Ci viene inoltre mostrato come gli esseri umani, nel corso dei secoli e delle epoche storiche, restino fondamentalmente gli stessi quando si parla di passioni e di sentimenti. Vi è un’unione di sacro e profano, di amarezza e speranza. È un romanzo che va saputo leggere,ma che indubbiamente è in grado di lasciare una traccia indelebile.

Prima di concludere vorrei spendere due righe sul film che i fratelli Wachowski hanno tratto dal romanzo, per evidenziare delle cose che mi hanno colpito. Intanto, eccovi la versione estesa del trailer:


Come lo stesso David Mitchell ci tiene a puntualizzare, film e libro sono due cose diverse: il libro è una matrioska, il film un mosaico. Va detto che lo spirito del libro viene generalmente rispettato, tant’è che a me è piaciuto molto anche il film, ma che la pellicola si comprende totalmente soltanto se si è letto il libro. C’è inoltre una differenza sostanziale: nel film viene privilegiato di molto l’aspetto romantico della vicenda, elemento questo che invece non è fondamentale nel libro, anzi. Nel caso, per dire, di Sixsmith e Frobisher, viene largamente fatto intuire che fossero innamorati ma non viene mai esplicitato direttamente. Ancor di più diventa evidente con Hae-Joo e Sonmi, quando la risposta che Sonmi dà all’Archivista che le chiede se fosse innamorata di Hae-Joo si rivela essere completamente diversa.
A proposito di Hae-Joo Im, è stata molto criticata ai Wachowski la scelta di non prendere un attore orientale per il ruolo. A me invece è parso naturale, perché ho interpretato fin da subito i lineamenti “meticci” di Hae-Joo come il naturale risultato dell’evoluzione dell’uomo in un mondo sempre più globalizzato. E anzi, trovo interessante il fatto che gli organismi clonati, come le serventi, abbiano invece tratti orientali puri, in quanto tale più “antichi”: paradossalmente, nel mondo futuristico immaginato da David Mitchell, è quell’umanità “meticciata” nei secoli ad essere chiamata “purosangue”, mentre i geni antichi e “non mescolati” delle serventi danno origine a creature che nascono per essere praticamente ridotte in schiavitù.

I dati del libro, per chi fosse interessato all’acquisto:
Titolo: “Cloud Atlas”
Autore: David Mitchell
Editore: Frassinelli
Pagine: 599
Prezzo: 14,90

E visto che per questa volta direi di avere blaterato proprio abbastanza, mi auguro che abbiate gradito la recensione (se ce l’avete fatta ad arrivare fin quaggiù, tanto di cappello)!

Alla prossima!

5 commenti:

  1. Bellissima recensione, complimenti! Mi hai fatto venir voglia di leggere il libro, oltre che un'incredibile nostalgia per il film (!).

    L'enorme talento di questo scrittore si riflette nel fatto di aver saputo usare e incastrare tanti stili e generi diversi (lo stesso vale per i registi nel film).

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    1. Uh, mi fa piacere che tu sia riuscita ad arrivare in fondo! XD Comunque sì, è un libro che sicuramente merita di essere letto. Io non gli ho dato voto pieno in realtà, ma giusto perché a mio gusto personale certe vicende non mi hanno attirato (vedi Luisa Rey), più certe "pesantezze" della prima storia, quella di Adam Ewing. Ma qui do la colpa a certe scelte di traduzione che non condivido, non perché sia fatta male ma perché l'avrei resa diversamente. Comunque lo consiglio! E mi sa che mi riguardo pure il film (che ribadisco, sono due cose diverse).

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  2. Ho dovuto vedere due volte il film per capirlo... Ora credo che leggerò anche il libro

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    1. Ciao, grazie per essere passato! E' un libro secondo me che merita un'occhiata, come la meritava anche il film, perché si tratta di due prodotti talmente particolari che il solo modo per farsene una vera idea penso sia proprio leggere e guardare.

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  3. IO DA 3 ANNI PROVO DI CAPIRE IL ROMANZO MA NON RIESCO

    ho guardato il film 10 volte )';

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