martedì 29 gennaio 2013

Tetti Verdi


Giunti a questo punto, al traguardo della terza recensione (che per me è un traguardo data la mia cronica mancanza di assiduità e metodo), dovete sapere che una mia passione sono i libri classici per ragazzi. Ne leggo più o meno uno alla settimana, di solito la domenica mattina, per rilassarmi. Ho scoperto che spesso e volentieri sono ottimi compagni, una sorta di gattini affettuosi ma vivaci, meno sofisticati e furbi dei loro colleghi adulti ma, molte volte, incredibilmente più freschi.
Segue che, trattandosi di un classico per ragazzi, il romanzo di cui andrò a parlare ha goduto di un adattamento animato. Dato il titolo del post, qualcuno avrà capito. Anzi, la maggior parte di voi avrà capito. Va be’, via, finiamola coi preamboli… SIGLA!!!


ANNA DAI CAPELLI ROSSI
di Lucy Maud Montgomery

Non molti sanno che il famoso cartone animato di cui ci siamo appena goduti la sigla, “Anna dai capelli rossi” (prodotto nel 1979 dalla Nippon Animation) è tratto da un romanzo di Lucy Maud Montgomery pubblicato nel 1908 e intitolato: “Anne of Green Gables” (Anna dei Tetti Verdi).
Il libro ha goduto di immediato successo, di sette seguiti e altri tre libri collegati, nonché di numerosissimi adattamenti di cui parlerò fra un po’.
Anzitutto, come al solito, qualche riga per presentare l’autrice.
Lucy Maud Montgomery nasce nel 1874 a Clifton, ora New London, sull’Isola del Principe Edoardo in Canada. Un luogo questo a cui resterà sempre legatissima, tanto da renderlo sfondo di molte sue opere e dello stesso “Anna dai capelli rossi”. 



A meno di due anni Lucy resta orfana di madre e viene affidata alle cure dei nonni; cresce così in un ambiente molto rigido e passa buona parte della sua infanzia da sola: proprio per colmare la sua solitudine inizia così a inventare storie e a crearsi amicizie immaginarie.

Lucy a dieci anni di età.
Dimostrandosi sempre un’ottima studentessa riesce, dopo le scuole superiori, a ottenere l’abilitazione all’insegnamento e a studiare letteratura all’Università di Halifax. Comincia così a insegnare, pur senza provare particolare passione per il suo mestiere e tuttavia mantenendolo poiché le lascia il tempo per scrivere. Inizia così a pubblicare racconti, più di cento in soli dieci anni (1897-1907). Il suo essere una giovane donna molto affascinante le procura numerosi flirt giovanili, ma il matrimonio (“scelta obbligata di ogni donna del Canada”) arriverà soltanto nel 1911, quando sposerà il ministro presbiteriano Ewen MacDonald. Avranno tre figli, di cui uno nato morto. Il trasferimento in Ontario al seguito del marito coinciderà con uno dei momenti maggiori della produzione della prolifica scrittrice, ma andrà di pari passo con la sua infelicità. La scrittura, infatti, sarà la sua unica consolazione contro una vita fatta di maternità, chiesa e depressione che mal si addiceva a uno spirito emancipato come il suo, mentre la salute mentale del marito andrà sempre più deteriorandosi.

Lucy Maud Montgomery muore a Toronto nel 1942, a sessantasette anni, in seguito (parrebbe) a una trombosi coronarica. Data la depressione di cui soffriva, tuttavia, non si esclude il suicidio.




Autrice incredibilmente prolifica, scrive una ventina di romanzi e centinaia di racconti, oltre ad articoli di giornale, poesie, saggi, diari e un’autobiografia. Tuttavia, è consapevole di non aver mai scritto “il” libro della sua vita (pur se lettori illustri come Mark Twain lodano la sua Anna come la più deliziosa e commovente bambina dai tempi di Alice Liddell). È, inoltre, la prima donna canadese ad essere accolta come membro nella Royal Society of Arts in England, nonché come membro dell’Ordine dell’Impero Britannico (1935).
La sua fama, soprattutto all’estero, resta però legata al romanzo “Anna dai capelli rossi”. 


La mia edizione è quella integrale, pubblicata da Rizzoli nella collana Biblioteca Universale, e la trama è nota a tutti:

Anna Shirley ha undici anni quando arriva a casa di Marilla e Matthew, due anziani fratelli che vivono insieme nella fattoria di Green Gables. Anna è una bambina vivace, esuberante, che incanta subito Matthew e che finisce per conquistare anche la severa e inflessibile Marilla.


Il successo del romanzo e della figura di Anna in particolare è tale da aver dato luogo, nel corso degli anni, a numerosi adattamenti sia teatrali che televisivi. Si ricordano due film cinematografici, uno muto del 1919 (ormai perduto), con la bella Mary Miles Minter nel ruolo di Anna, e uno del 1934 con protagonista Dawn Evelyeen Paris (che in seguito cambierà il suo nome d’arte proprio in “Anne Shirley”).





Abbiamo poi sette film per la televisione, sei serie televisive (di cui una prevista proprio per il 2013) e cinque fra musical e adattamenti teatrali. Di seguito uno dei tanti trailer:



I luoghi in cui Lucy Maud Montgomery ha vissuto e a cui s’è ispirata per il romanzo, inoltre, sono meta di turismo e fonte di considerevoli guadagni per l’Isola del Principe Edoardo. Sono stati ricostruiti, inoltre, la fattoria di Green Gables (a Cavendish) e addirittura un parco tematico di Avonlea. 





Venendo a parlare del romanzo, io non posso non consigliarlo. Non solo ai bambini, ma a lettori di tutte le età. La parola più adatta per descriverlo è: “adorabile” (e ve lo dice una che tra l’altro non ha mai amato particolarmente l’adattamento animato – che pure è piuttosto fedele). Inoltrandosi fra le pagine non si può non simpatizzare con Anna, non innamorarsi della sua fantasia e vivacità. Proprio l’immaginazione è il suo scudo contro le brutture del mondo, che pure conosce essendo lei un’orfanella abituata a non avere nulla, neppure l’affetto. A queste mancanze supplisce con la fantasia, abbellendo il mondo e ricreandolo, trovando l’amore di Matthew e Marilla e crescendo fino a diventare una giovane, splendida donna che non ha smesso di credere nei suoi sogni. Accompagnarla in questa crescita è commovente, poiché la Montgomery ha una mano unica nel tratteggiare gli anni dell’infanzia, i giochi e quei primi turbamenti che segnano l’arrivo dell’adolescenza. Lo fa con infinità sensibilità, seguendo la traccia delle sue sensazioni, dei sentimenti di quand’era ragazzina e forse anche delle sue esperienze.
Un romanzo di grande freschezza e modernità, che torno a consigliare a grandi e piccini e che, sopra ogni cosa, insegna il valore dell’immaginazione.

Qui sotto, come al solito, i dati del libro:
Titolo: “Anna dai capelli rossi”
Autore: Lucy Maud Montgomery
Editore: Rizzoli (collana Biblioteca Universale Rizzoli)
Pagine: 398
Prezzo: 9,90






domenica 27 gennaio 2013

Il Signore Delle Langhe


La recensione di oggi riguarda uno degli autori che stanno più in alto nella mia classifica di gradimento personale. Un autore morto nel 1963 a Torino e nato ad Alba nel 1922.
E qui qualcuno avrà forse già capito di chi sto parlando. Parlo di una delle grandi penne delle Langhe, “vicina di casa” di Cesare Pavese, nonché di un gran signore che per me è e resterà uno dei più grandi esponenti della letteratura italiana del ‘900.
Parlo, ormai sarà chiaro, del sempre troppo ignorato Giuseppe “Beppe” Fenoglio.



Come al solito, prima di passare a commentare il romanzo che ho scelto, due righe per presentare l’uomo e lo scrittore.

Beppe Fenoglio nasce, come ho detto, ad Alba nel 1922 da Amilcare Fenoglio e Margherita Faccenda. A seguito dei suoi buoni risultati scolastici, viene iscritto su insistenze della madre al liceo “Govone” di Alba, dove ha per insegnanti due importanti figure che segneranno per sempre le sue idee e la sua personalità: Pietro Chiodi e Leonardo Cocito, entrambi grandi intellettuali e partigiani.




Nel 1943, Beppe viene richiamato alle armi: finisce prima in provincia di Cuneo, poi al corso per allievi ufficiali di Pietralata, a Roma. Dopo lo sbando dell’8 settembre si unisce alle formazioni partigiane piemontesi, e su questo periodo della sua vita avrò modo di ritornare quando recensirò “Il partigiano Johnny”. Nel 1949 viene pubblicato il suo primo racconto e, un anno dopo, incontra a Torino Elio Vittorini, Natalia Ginzburg e Italo Calvino. Inizia così la sua attività di scrittore e traduttore, e va segnalato che, racconti sparsi a parte, soltanto tre delle sue opere gli vennero pubblicate in vita: “I ventitré giorni della città di Alba”, “La malora” e “Primavera di bellezza”. Il resto della sua produzione (racconti, frammenti, traduzioni e il suo romanzo più famoso “Il partigiano Johnny”) venne pubblicata postuma.

Beppe Fenoglio, infatti, muore a soli quarantun’anni, stroncato da un tumore ai bronchi contro cui lottava da tempo. È sepolto nel cimitero di Alba e nel 2005 gli è stata conferita la “Laurea ad honorem” in Lettere, all’Università di Torino.


(Fenoglio ritratto da Tullio Pericoli)

Passiamo dunque al commento vero e proprio. Il libro che presenterò, l’avrete capito, non è “Il partigiano Johnny”, ma ne condivide il protagonista. Si tratta di:

PRIMAVERA DI BELLEZZA
di Beppe Fenoglio

Questo libro, terzo e ultimo romanzo di Fenoglio pubblicato in vita, esce nel 1959 per Garzanti e vince il Premio Prato. Viene ristampato in successive edizioni, e attualmente fa parte del catalogo Einaudi. Di seguito, la trama fornita dall’editore:

L'avvento dell'8 settembre 1943 come data ed episodio fondamentale per molte generazioni di italiani; il momento della scelta di vita da parte di un giovane, necessariamente portato alla ribellione: nella vicenda di Johnny, lo stesso protagonista dell'altro romanzo, Il partigiano Johnny, c'è tutta la realtà fascista in sfacelo; la sua "formazione" lo conduce non a una maturità felice ma al nulla di un mondo privo di senso. Primavera di bellezza (1959) è il terzo e ultimo libro pubblicato in vita da Beppe Fenoglio. «Il romanzo venne concepito e steso in lingua inglese. Il testo quale lo conoscono i lettori - dichiarò Fenoglio provocatoriamente - è quindi una mera traduzione».


Ecco la copertina dell’edizione attualmente in commercio, collana Einaudi Tascabili: 



Vorrei anzitutto soffermarmi sul titolo: “Primavera di bellezza” è infatti un verso dell’inno goliardico “Giovinezza”, composto nel 1909 dagli studenti universitari Nino Oxilia e Giuseppe Blanc. Con alcuni rimaneggiamenti, il brano divenne inno prima degli Arditi (1917), poi degli Squadristi (1919), infine del Partito Nazionale Fascista.

Di seguito, un’esecuzione della versione originale:




Inserisco, per motivi di attinenza col romanzo, anche un’esecuzione della versione fascista:



Interessante è infatti notare il modo in cui il titolo del libro si lega al romanzo: Fenoglio racconta i giorni dell’8 settembre con gli occhi di Johnny, un ragazzo nel pieno dei vent’anni che frequenta la scuola per allievi ufficiali. La “giovinezza” c’è, dunque, e con essa viene anche l’ironia. Perché Fenoglio, con quella penna argutissima che gli è propria, descrive un ritratto della gioventù fascista che va in netto contrasto con gli intenti pomposi e celebrativi dell’inno. Descrive caserme disorganizzate e mezze fatiscenti, istruttori sadici, alti gradi incapaci e una gioventù che c’è stata “tirata in mezzo”, il tutto restituito con pennellate dai colori intensi e dal ritmo trascinante, di una vividezza che lascia rapiti. Tanto per darvene un esempio, ecco l’incipit del romanzo:

Insensibile al freddo mordace, Johnny fissava vacuamente lo scarico della latrina. Si riscosse all'arrivo di un compagno, ciabattante, malsano, terrone. Lo scansò a testa bassa e filò via rasentò il muro sgocciolante, orientandosi sull'alone funereo della lampada della sua camerata. Rivide il distretto, quel lercio maresciallo nel primo ufficio, che portava l'uniforme come una camicia da notte, i cassetti della scrivania pieni di omaggi e pedaggi in viveri e tabacco. Quindi il colonnello comandante, nella sala visite: in perfetta divisa, calzava sotto i gambali fruste pianelle di marocchino. Batté il piede per richiamare l'attenzione dello scritturale e decretò: «...esimo fanteria. Battaglione d'istruzione. Moana.»

Ora capite cosa intendo dire quando dico che è uno dei più grandi scrittori che il secolo scorso ci abbia lasciato?
Assolutamente impressionante è pure l’uso che fa dell’epica, fondendola col meraviglioso occhio ironico di cui s’è già parlato. A questo proposito è magistrale l’episodio della dissenteria, di cui purtroppo non sono riuscita a recuperare la citazione. Basti sapere che, a causa della cattiva nutrizione, un episodio di dissenteria colpisce l’intera caserma e macina tutti, dal comandante fino all’ultimo degli sguatteri. Qui Fenoglio usa l’impianto e lo stile di una battaglia epica per descrivere la lotta dei reparti contro la dissenteria, ed è qualcosa di eccezionale, un ritratto sincero e veridico (ben più di quanto lo sia l’inno “Giovinezza”) che strappa ben più di un ghigno.

Beppe Fenoglio è così: scrive racconti che parlano di guerra, ma che parlano anche di ragazzi; il suo è un ritmo di danza vivace e colorato, ma al tempo stesso elegantissimo. Ha una maturità di prosa e di lingua che è stupefacente, le parole scorrono sulle labbra e la sua narrazione sembra di berla. Ed è acqua fresca! Proprio grazie alla sua eccezionale padronanza dello stile, Fenoglio riesce non soltanto a far sorridere ma anche a far commuovere, a restituire quando vuole farlo tutta la drammaticità di una situazione. È il caso della parte ambientata nell’Agro Pontino, nei giorni dell’8 settembre. La divisione di Johnny, bloccata a badare a una batteria antiaerea, resta abbandonata a se stessa. Qui lo scrittore fa una scelta narrativa di grande intelligenza: non mostra il bombardamento su Roma, ma ne fa solo sentire il rumore. E lo fa con tutta la maestria che possiede, in uno stile che è evocativo al massimo grado e che rende quelle pagine una prova di grande letteratura. In seguito mostra dapprima l’indecisione, lo smarrimento dei soldati di fronte all’assoluta mancanza di ordini, all’ignoranza dei fatti. Poi lo sbando, l’arrivo a Roma, la scoperta dell’armistizio, della fuga di Badoglio e del Re, il senso di abbandono e poi il panico, quel non sapere più chi siano i nemici e chi gli amici. In una nazione abbandonata anche da chi la governa, la sola decisione che resta da prendere a Johnny è quella di tornare a casa. Si imbarca così sul treno che lo porterà fino in Piemonte, e strada facendo prende la decisione di unirsi alle formazioni partigiane.



Un autore, insomma, di gran razza. Un autore che ora più che mai andrebbe riscoperto, letto e amato. Soprattutto, dovrebbe finire nelle mani non soltanto degli appassionati del periodo storico ma di chiunque cerchi un esempio di scrittura bella e sia interessato a scoprire un esponente sui generis della letteratura italiana.

I dati del libro, per chi sia interessato all’acquisto:
Titolo: “Primavera di bellezza”
Autore: Beppe Fenoglio
Editore: Einaudi
Pagine: 186
Prezzo: 10,00 €







giovedì 24 gennaio 2013

Divinità On The Road


Per festeggiare l’apertura del blog, giacché siamo nel gennaio del 2013, giacché abbiamo superato indenni i Maya e tutto quello che si portavano dietro (UFO, cataclismi, serpenti piumati ecc.), che c’è di meglio che partire con un libro che parla proprio di divinità?
Sì, esattamente quelle divinità che si studiano a scuola, nell’epica e nei libri di storia, ma rivisitate in una certa salsa contemporanea e memorabili protagoniste di un viaggio on the road per le strade degli Stati Uniti.
Sto parlando di… *rullo di tamburi*

AMERICAN GODS
di Neil Gaiman

Anzitutto, due parole per spiegare chi è Neil Gaiman (io dico solo che darei un rene per avere la sua immaginazione, l’altro lo darei a Eiichiro Oda): 



Neil Richard Gaiman nasce nel 1960 a Portchester, in Gran Bretagna. Inizia la sua carriera come giornalista ma è come fumettista che ottiene la fama, in particolare con la serie chiamata “The Sandman” (pubblicata in Italia da Magic Press). Nel mentre scrive racconti, specie di fantascienza, romanzi, sceneggiature, favole, e lavora anche in ambito musicale.
Volendo comunque soffermarmi sul Gaiman romanziere, segnalo in particolare quattro dei suoi romanzi più famosi: “Stardust”, “Nessundove”, lo stesso “American Gods” e il suo ideale seguito “I ragazzi di Anansi”.

La prima pubblicazione di “American Gods risale al 2001 e frutta a Gaiman un premio Hugo per il miglior romanzo (oltre che un premio Nebula – miglior romanzo di fantascienza – e un Bram Stoker per il miglior romanzo dell’orrore). Esce in Italia nel 2003, pubblicato da Mondadori nella collana “Piccola Biblioteca Oscar”. 



Di seguito la trama del romanzo fornita dall’editore:



Dopo tre anni di prigione Shadow sta per tornare in libertà quando viene a sapere della morte misteriosa della moglie e del suo migliore amico. Sull'aereo che lo riporta a casa l'uomo riceve una proposta di lavoro da un tipo piuttosto enigmatico, Mister Wednesday: Shadow accetta, ma gli servirà ancora qualche tempo per scoprire chi sia in realtà il suo capo, chi siano i suoi compagni d'affari e chi i suoi concorrenti.

Bene. Come punto di partenza direi che non c’è male, no?
Ora, fornisco io un nuovo indizio: “Dio è morto”, diceva Nietzsche. “No, è solo emigrato”, risponde Gaiman. Perché, Shadow e la non-morta Laura a parte, i personaggi del romanzo (Mister Wednesday, il signor Ibis, Anansi, Chernobog, Bilquis, Mad Sweeney e una girandola d’altri) non sono altro che divinità del Vecchio Mondo trapiantate e sopravvissute nel Nuovo, ossia negli Stati Uniti.

« Venendo in America la gente ci ha portato con sé. […] Siamo arrivati fin qui viaggiando nelle loro menti, e abbiamo radici. Abbiamo viaggiato con i coloni, attraversato gli oceani, verso nuove terre. […] Ben presto la nostra gente ci ha abbandonato, ricordandosi di noi soltanto come creature del paese d'origine, creature che credevano di non aver portato nel nuovo mondo. I nostri fedeli sono morti, o hanno smesso di credere in noi, e siamo stati lasciati soli, smarriti, spaventati e spodestati, a cavarcela con quel poco di fede o venerazione che riuscivamo trovare. […] Vecchi dèi, in questa nuova terra senza dèi. »

Sono esseri privi di punti di riferimento, tali appaiono nel corso della narrazione, spesso incapaci di far fronte al mutamento dei secoli e al fatto che la gente abbia smesso di credere in loro. Provengono dai pantheon più diversi (norreno, africano, slavo, egizio, irlandese, nativo americano, induista) e sono tutti molto interessati a Shadow, per motivi che lui stesso ignora, che io non vi anticipo ma che verranno chiariti nel corso della narrazione. Al seguito e per ordine di Wednesday, ha inizio l’avventura di Shadow in giro per l’America, in un lunghissimo vagabondare che lo porterà a toccare Illinois, Wisconsin, Missouri, Virginia e Kansas, con un’unica missione: salvare i Vecchi Dèi.
La minaccia che incombe su di loro e sul mondo intero, infatti, è nientemeno quella di una guerra: Nuovi Dèi hanno invaso il mondo degli uomini, gli dèi della tecnologia, dei media, del denaro. Sono quegli gli dèi a cui gli esseri umani ormai credono, e per i vecchi non c’è più spazio.
Shadow partirà dunque per un viaggio di cui ignora dapprincipio tutto quanto, la destinazione, lo scopo ultimo; ma sarà proprio durante questo viaggio che raggiungerà la consapevolezza delle sue vere origini, dei suoi poteri e del suo ruolo nella stabilità dell’universo.
A fare da cornice ai capitoli dedicati alla saga principale abbiamo dei pregevolissimi racconti brevi dedicati all’arrivo delle varie divinità in America nel corso dei secoli, racconti che si innestano alla saga principale tramite il signor Ibis, che è colui che li compila.

Non avendo io a disposizione un trailer del libro, e nemmeno ahimè un trailer della serie tv HBO di prossima produzione (si parlava addirittura di quest’anno), vi regalo un video di Neil Gaiman che legge un estratto durante una convention a Mantova:


Per quanto riguarda il mio giudizio, comincio col dire che io adoro Neil Gaiman (ho pur detto che darei un rene per avere la sua immaginazione, no?). E tuttavia ci sono libri che si leggono in due giorni e libri che si leggono in venti. Io questo l’ho letto in venti. Non tanto per una questione di pagine (sono poco più di cinquecento), ma perché il buon Gaiman ha un difetto: è intrinsecamente lento. E con questo non voglio dire che “American Gods” sia un brutto libro. “American Gods” è un buon libro, di grande atmosfera, la cui struttura complessiva regge benissimo, e ha in generale una compattezza narrativa invidiabile. Un on the road per le autostrade dell’America certamente atipico, che non manca della giusta dose di suspence per quanto riguarda il destino di Shadow. E dove sta il problema, allora? Il problema sta nel fatto che Gaiman, quando ci si mette, riesce ad essere estremamente denso di particolari anche irrilevanti. Per questo trovo che sia al suo massimo nei racconti e nei romanzi che non superano le trecento pagine (vedi alla voce: “Nessundove”).
Ne segue che la narrazione è molto rallentata, si supera la metà senza avere ancora la più vaga idea di dove voglia andare a parare la faccenda, e gli indizi che vengono seminati e raccolti pian piano creano sì un senso di aspettativa ma anche un sospetto: che tutto si risolverà in una bolla di sapone. Si arriva alle ultime cento pagine con tanta – forse troppa – carne al fuoco e il tremendo sentore che non sarà mai cotta a puntino. Nel mio, caso, in effetti, non lo è stata: tanta aspettativa e tanta attesa non per il finale col botto che mi aspettavo (e che la vicenda avrebbe meritato) ma per una conclusione decisamente sotto tono e sbrigata in troppo poche pagine. Neil, Neil, se soltanto avessi calibrato meglio i tempi! Se soltanto avessi perso meno tempo dietro alle minuzie delle sperdute cittadine americane!
… posto il fatto che, come ho detto, a parte questa défaillance finale il romanzo si legge parecchio bene e anche con una buona quota di interesse. Bisogna prenderlo con la dovuta calma e pazienza, ecco tutto, e con la consapevolezza che non è (né vuole essere) un romanzo epico.
Menzione d’onore per i racconti-cornice sull’arrivo degli dèi in America: eccezionali, lì ho ritrovato davvero il Gaiman che amo.


I dati del libro, per chi fosse interessato all’acquisto:
Titolo: “American Gods”
Autore: Neil Gaiman
Editore: Mondadori
Pagine: 523
Prezzo: 11,00   

Che dire… la prima fatica si è conclusa, spero che abbiate gradito! Se vorrete lasciarmi un feedback ne sarò felice, e in ogni caso spero di ritrovarvi alla prossima recensione, fra una settimana circa!

A presto! 

Buonasera, bonsoir, good evening!

Premetto che io sono un'assoluta capra in fatto di grafica, quindi mi attengo scrupolosamente alla versione base proposta da Blogger, in attesa di riuscire a modificare quella carta da parati lì dietro... 
Il blog qui presente, dall'eloquente titolo "Il Momento Letterario", vorrebbe essere un blog di recensioni (e spero proprio che lo sarà, in realtà). Nello specifico mi occuperò di recensioni di libri, eventualmente anche fanfictions e fumetti o comunque produzioni amatoriali. 
... tra l'altro mi rendo conto solo adesso di aver fatto la maleducata: non mi sono presentata! 

Nome (o meglio, nickname): Vitani
Età: 25 (ancora per poco, sigh)
Professione: studentessa universitaria (Facoltà di Lingue e Letterature Straniere)
Hobby: scrivere
Su Facebook mi trovate qui.

E direi che per ora può bastare anche così.
Un saluto a tutti quelli che passeranno da questa paginetta, una paginetta come tante altre, me ne rendo conto, ma confido che col tempo diventerà un posticino carino.
A presto!