La recensione di oggi riguarda uno degli autori che stanno più in alto nella mia classifica di
gradimento personale. Un autore morto nel 1963 a Torino e nato ad Alba
nel 1922.
E qui qualcuno avrà forse già
capito di chi sto parlando. Parlo di una delle grandi penne delle Langhe,
“vicina di casa” di Cesare Pavese, nonché di un gran signore che per me è e
resterà uno dei più grandi esponenti della letteratura italiana del ‘900.
Parlo, ormai sarà chiaro, del sempre troppo ignorato Giuseppe “Beppe”
Fenoglio.
Come al solito, prima di passare
a commentare il romanzo che ho scelto, due righe per presentare l’uomo e lo
scrittore.
Beppe Fenoglio nasce, come ho detto, ad Alba nel 1922 da Amilcare
Fenoglio e Margherita Faccenda. A seguito dei suoi buoni risultati scolastici,
viene iscritto su insistenze della madre al liceo “Govone” di Alba, dove ha per
insegnanti due importanti figure che segneranno per sempre le sue idee e la sua
personalità: Pietro Chiodi e Leonardo Cocito, entrambi grandi intellettuali e
partigiani.
Nel 1943, Beppe viene richiamato
alle armi: finisce prima in provincia di Cuneo, poi al corso per allievi
ufficiali di Pietralata, a Roma. Dopo lo sbando dell’8 settembre si unisce alle
formazioni partigiane piemontesi, e su questo periodo della sua vita avrò modo
di ritornare quando recensirò “Il partigiano Johnny”. Nel 1949 viene pubblicato
il suo primo racconto e, un anno dopo, incontra a Torino Elio Vittorini,
Natalia Ginzburg e Italo Calvino. Inizia così la sua attività di scrittore e
traduttore, e va segnalato che, racconti sparsi a parte, soltanto tre delle sue
opere gli vennero pubblicate in vita: “I ventitré giorni della città di Alba”,
“La malora” e “Primavera di bellezza”. Il resto della sua produzione (racconti,
frammenti, traduzioni e il suo romanzo più famoso “Il partigiano Johnny”) venne
pubblicata postuma.
Beppe Fenoglio, infatti, muore a soli quarantun’anni, stroncato da un
tumore ai bronchi contro cui lottava da tempo. È sepolto nel cimitero di Alba e
nel 2005 gli è stata conferita la “Laurea ad honorem” in Lettere,
all’Università di Torino.
(Fenoglio ritratto da Tullio Pericoli)
Passiamo dunque al commento vero
e proprio. Il libro che presenterò, l’avrete capito, non è “Il partigiano
Johnny”, ma ne condivide il protagonista. Si tratta di:
PRIMAVERA DI BELLEZZA
di Beppe Fenoglio
Questo libro, terzo e ultimo
romanzo di Fenoglio pubblicato in vita, esce nel 1959 per Garzanti e vince il
Premio Prato. Viene ristampato in successive edizioni, e attualmente fa parte
del catalogo Einaudi. Di seguito, la trama fornita dall’editore:
L'avvento dell'8 settembre
1943 come data ed episodio fondamentale per molte generazioni di italiani; il
momento della scelta di vita da parte di un giovane, necessariamente portato
alla ribellione: nella vicenda di Johnny, lo stesso protagonista dell'altro
romanzo, Il partigiano Johnny, c'è tutta la realtà fascista in sfacelo; la sua
"formazione" lo conduce non a una maturità felice ma al nulla di un
mondo privo di senso. Primavera di bellezza (1959) è il terzo e ultimo libro
pubblicato in vita da Beppe Fenoglio. «Il romanzo venne concepito e steso in
lingua inglese. Il testo quale lo conoscono i lettori - dichiarò Fenoglio provocatoriamente - è quindi una mera traduzione».
Ecco la copertina dell’edizione attualmente in commercio, collana
Einaudi Tascabili:
Vorrei anzitutto soffermarmi sul
titolo: “Primavera di bellezza” è infatti un verso dell’inno goliardico “Giovinezza”,
composto nel 1909 dagli studenti universitari Nino Oxilia e Giuseppe Blanc. Con
alcuni rimaneggiamenti, il brano divenne inno prima degli Arditi (1917), poi
degli Squadristi (1919), infine del Partito Nazionale Fascista.
Di seguito, un’esecuzione della versione originale:
Inserisco, per motivi di attinenza col romanzo,
anche un’esecuzione della versione fascista:
Interessante è infatti notare il
modo in cui il titolo del libro si lega al romanzo: Fenoglio racconta i giorni
dell’8 settembre con gli occhi di Johnny, un ragazzo nel pieno dei vent’anni
che frequenta la scuola per allievi ufficiali. La “giovinezza” c’è, dunque, e
con essa viene anche l’ironia. Perché Fenoglio, con quella penna argutissima
che gli è propria, descrive un ritratto della gioventù fascista che va in netto
contrasto con gli intenti pomposi e celebrativi dell’inno. Descrive caserme
disorganizzate e mezze fatiscenti, istruttori sadici, alti gradi incapaci e una
gioventù che c’è stata “tirata in mezzo”, il tutto restituito con pennellate
dai colori intensi e dal ritmo trascinante, di una vividezza che lascia rapiti.
Tanto per darvene un esempio, ecco l’incipit del romanzo:
Insensibile al freddo
mordace, Johnny fissava vacuamente lo scarico della latrina. Si riscosse
all'arrivo di un compagno, ciabattante, malsano, terrone. Lo scansò a testa
bassa e filò via rasentò il muro sgocciolante, orientandosi sull'alone funereo
della lampada della sua camerata. Rivide il distretto, quel lercio maresciallo
nel primo ufficio, che portava l'uniforme come una camicia da notte, i cassetti
della scrivania pieni di omaggi e pedaggi in viveri e tabacco. Quindi il
colonnello comandante, nella sala visite: in perfetta divisa, calzava sotto i
gambali fruste pianelle di marocchino. Batté il piede per richiamare
l'attenzione dello scritturale e decretò: «...esimo fanteria. Battaglione
d'istruzione. Moana.»
Ora capite cosa intendo dire
quando dico che è uno dei più grandi scrittori che il secolo scorso ci abbia
lasciato?
Assolutamente impressionante è
pure l’uso che fa dell’epica, fondendola col meraviglioso occhio ironico di
cui s’è già parlato. A questo proposito è magistrale l’episodio della
dissenteria, di cui purtroppo non sono riuscita a recuperare la citazione. Basti
sapere che, a causa della cattiva nutrizione, un episodio di dissenteria
colpisce l’intera caserma e macina tutti, dal comandante fino all’ultimo degli
sguatteri. Qui Fenoglio usa l’impianto e lo stile di una battaglia epica per
descrivere la lotta dei reparti contro la dissenteria, ed è qualcosa di
eccezionale, un ritratto sincero e veridico (ben più di quanto lo sia l’inno “Giovinezza”)
che strappa ben più di un ghigno.
Beppe Fenoglio è così: scrive racconti che parlano di guerra, ma che
parlano anche di ragazzi; il suo è un ritmo di danza vivace e colorato, ma al
tempo stesso elegantissimo. Ha una maturità di prosa e di lingua che è
stupefacente, le parole scorrono sulle labbra e la sua narrazione sembra di
berla. Ed è acqua fresca! Proprio grazie alla sua eccezionale padronanza dello
stile, Fenoglio riesce non soltanto a far sorridere ma anche a far commuovere,
a restituire quando vuole farlo tutta la drammaticità di una situazione. È il
caso della parte ambientata nell’Agro Pontino, nei giorni dell’8 settembre. La
divisione di Johnny, bloccata a badare a una batteria antiaerea, resta
abbandonata a se stessa. Qui lo scrittore fa una scelta narrativa di grande intelligenza:
non mostra il bombardamento su Roma, ma ne fa solo sentire il rumore. E lo fa con tutta la maestria che possiede, in
uno stile che è evocativo al massimo grado e che rende quelle pagine una prova
di grande letteratura. In seguito mostra dapprima l’indecisione, lo smarrimento
dei soldati di fronte all’assoluta mancanza di ordini, all’ignoranza dei fatti.
Poi lo sbando, l’arrivo a Roma, la scoperta dell’armistizio, della fuga di
Badoglio e del Re, il senso di abbandono e poi il panico, quel non sapere più
chi siano i nemici e chi gli amici. In una nazione abbandonata anche da chi la
governa, la sola decisione che resta da prendere a Johnny è quella di tornare a
casa. Si imbarca così sul treno che lo porterà fino in Piemonte, e strada
facendo prende la decisione di unirsi alle formazioni partigiane.
Un autore, insomma, di gran
razza. Un autore che ora più che mai andrebbe riscoperto, letto e amato. Soprattutto,
dovrebbe finire nelle mani non soltanto degli appassionati del periodo storico
ma di chiunque cerchi un esempio di scrittura bella e sia interessato a scoprire un esponente sui generis della
letteratura italiana.
I dati del libro, per chi sia
interessato all’acquisto:
Titolo: “Primavera di bellezza”
Autore: Beppe Fenoglio
Editore: Einaudi
Pagine: 186
Prezzo: 10,00 €
Io di questo autore ho letto solo Il Partigiano Johnny e mi piacque tantissimo. Ho letto il brano che hai tratto dal libro, ed è veramente evocativo, sembra una poesia **.
RispondiEliminaFai una recensione di un libro che non mi piacerà altrimenti la colonnina sul mio comodino invece di diminuire crollerà rovinosamente sotto una montagna di libri nuovi ^^.
Bellissima recensione.
Ma ciao! Oh, il "Partigiano" sarà una delle future recensioni, e se ti è piaciuto quello non dubito che amerai anche questo, anche perché come hai visto il protagonista è in comune (anzi, questo è più breve ma riesce a dare spazio anche alla conclusione della vicenda di Johnny, che nell'altro romanzo non c'è essendo purtroppo rimasto incompiuto). Eppure in qualche modo ogni romanzo di Fenoglio, pur riprendendo temi e personaggi già visti, è un'esperienza a sé: i suoi sono mondi che si ricreano dalle stesse basi, ogni volta con punti di contatto e divergenze. Poi io con lui sono di parte, credo di poter dire che sia il mio autore italiano preferito! :)
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