domenica 27 gennaio 2013

Il Signore Delle Langhe


La recensione di oggi riguarda uno degli autori che stanno più in alto nella mia classifica di gradimento personale. Un autore morto nel 1963 a Torino e nato ad Alba nel 1922.
E qui qualcuno avrà forse già capito di chi sto parlando. Parlo di una delle grandi penne delle Langhe, “vicina di casa” di Cesare Pavese, nonché di un gran signore che per me è e resterà uno dei più grandi esponenti della letteratura italiana del ‘900.
Parlo, ormai sarà chiaro, del sempre troppo ignorato Giuseppe “Beppe” Fenoglio.



Come al solito, prima di passare a commentare il romanzo che ho scelto, due righe per presentare l’uomo e lo scrittore.

Beppe Fenoglio nasce, come ho detto, ad Alba nel 1922 da Amilcare Fenoglio e Margherita Faccenda. A seguito dei suoi buoni risultati scolastici, viene iscritto su insistenze della madre al liceo “Govone” di Alba, dove ha per insegnanti due importanti figure che segneranno per sempre le sue idee e la sua personalità: Pietro Chiodi e Leonardo Cocito, entrambi grandi intellettuali e partigiani.




Nel 1943, Beppe viene richiamato alle armi: finisce prima in provincia di Cuneo, poi al corso per allievi ufficiali di Pietralata, a Roma. Dopo lo sbando dell’8 settembre si unisce alle formazioni partigiane piemontesi, e su questo periodo della sua vita avrò modo di ritornare quando recensirò “Il partigiano Johnny”. Nel 1949 viene pubblicato il suo primo racconto e, un anno dopo, incontra a Torino Elio Vittorini, Natalia Ginzburg e Italo Calvino. Inizia così la sua attività di scrittore e traduttore, e va segnalato che, racconti sparsi a parte, soltanto tre delle sue opere gli vennero pubblicate in vita: “I ventitré giorni della città di Alba”, “La malora” e “Primavera di bellezza”. Il resto della sua produzione (racconti, frammenti, traduzioni e il suo romanzo più famoso “Il partigiano Johnny”) venne pubblicata postuma.

Beppe Fenoglio, infatti, muore a soli quarantun’anni, stroncato da un tumore ai bronchi contro cui lottava da tempo. È sepolto nel cimitero di Alba e nel 2005 gli è stata conferita la “Laurea ad honorem” in Lettere, all’Università di Torino.


(Fenoglio ritratto da Tullio Pericoli)

Passiamo dunque al commento vero e proprio. Il libro che presenterò, l’avrete capito, non è “Il partigiano Johnny”, ma ne condivide il protagonista. Si tratta di:

PRIMAVERA DI BELLEZZA
di Beppe Fenoglio

Questo libro, terzo e ultimo romanzo di Fenoglio pubblicato in vita, esce nel 1959 per Garzanti e vince il Premio Prato. Viene ristampato in successive edizioni, e attualmente fa parte del catalogo Einaudi. Di seguito, la trama fornita dall’editore:

L'avvento dell'8 settembre 1943 come data ed episodio fondamentale per molte generazioni di italiani; il momento della scelta di vita da parte di un giovane, necessariamente portato alla ribellione: nella vicenda di Johnny, lo stesso protagonista dell'altro romanzo, Il partigiano Johnny, c'è tutta la realtà fascista in sfacelo; la sua "formazione" lo conduce non a una maturità felice ma al nulla di un mondo privo di senso. Primavera di bellezza (1959) è il terzo e ultimo libro pubblicato in vita da Beppe Fenoglio. «Il romanzo venne concepito e steso in lingua inglese. Il testo quale lo conoscono i lettori - dichiarò Fenoglio provocatoriamente - è quindi una mera traduzione».


Ecco la copertina dell’edizione attualmente in commercio, collana Einaudi Tascabili: 



Vorrei anzitutto soffermarmi sul titolo: “Primavera di bellezza” è infatti un verso dell’inno goliardico “Giovinezza”, composto nel 1909 dagli studenti universitari Nino Oxilia e Giuseppe Blanc. Con alcuni rimaneggiamenti, il brano divenne inno prima degli Arditi (1917), poi degli Squadristi (1919), infine del Partito Nazionale Fascista.

Di seguito, un’esecuzione della versione originale:




Inserisco, per motivi di attinenza col romanzo, anche un’esecuzione della versione fascista:



Interessante è infatti notare il modo in cui il titolo del libro si lega al romanzo: Fenoglio racconta i giorni dell’8 settembre con gli occhi di Johnny, un ragazzo nel pieno dei vent’anni che frequenta la scuola per allievi ufficiali. La “giovinezza” c’è, dunque, e con essa viene anche l’ironia. Perché Fenoglio, con quella penna argutissima che gli è propria, descrive un ritratto della gioventù fascista che va in netto contrasto con gli intenti pomposi e celebrativi dell’inno. Descrive caserme disorganizzate e mezze fatiscenti, istruttori sadici, alti gradi incapaci e una gioventù che c’è stata “tirata in mezzo”, il tutto restituito con pennellate dai colori intensi e dal ritmo trascinante, di una vividezza che lascia rapiti. Tanto per darvene un esempio, ecco l’incipit del romanzo:

Insensibile al freddo mordace, Johnny fissava vacuamente lo scarico della latrina. Si riscosse all'arrivo di un compagno, ciabattante, malsano, terrone. Lo scansò a testa bassa e filò via rasentò il muro sgocciolante, orientandosi sull'alone funereo della lampada della sua camerata. Rivide il distretto, quel lercio maresciallo nel primo ufficio, che portava l'uniforme come una camicia da notte, i cassetti della scrivania pieni di omaggi e pedaggi in viveri e tabacco. Quindi il colonnello comandante, nella sala visite: in perfetta divisa, calzava sotto i gambali fruste pianelle di marocchino. Batté il piede per richiamare l'attenzione dello scritturale e decretò: «...esimo fanteria. Battaglione d'istruzione. Moana.»

Ora capite cosa intendo dire quando dico che è uno dei più grandi scrittori che il secolo scorso ci abbia lasciato?
Assolutamente impressionante è pure l’uso che fa dell’epica, fondendola col meraviglioso occhio ironico di cui s’è già parlato. A questo proposito è magistrale l’episodio della dissenteria, di cui purtroppo non sono riuscita a recuperare la citazione. Basti sapere che, a causa della cattiva nutrizione, un episodio di dissenteria colpisce l’intera caserma e macina tutti, dal comandante fino all’ultimo degli sguatteri. Qui Fenoglio usa l’impianto e lo stile di una battaglia epica per descrivere la lotta dei reparti contro la dissenteria, ed è qualcosa di eccezionale, un ritratto sincero e veridico (ben più di quanto lo sia l’inno “Giovinezza”) che strappa ben più di un ghigno.

Beppe Fenoglio è così: scrive racconti che parlano di guerra, ma che parlano anche di ragazzi; il suo è un ritmo di danza vivace e colorato, ma al tempo stesso elegantissimo. Ha una maturità di prosa e di lingua che è stupefacente, le parole scorrono sulle labbra e la sua narrazione sembra di berla. Ed è acqua fresca! Proprio grazie alla sua eccezionale padronanza dello stile, Fenoglio riesce non soltanto a far sorridere ma anche a far commuovere, a restituire quando vuole farlo tutta la drammaticità di una situazione. È il caso della parte ambientata nell’Agro Pontino, nei giorni dell’8 settembre. La divisione di Johnny, bloccata a badare a una batteria antiaerea, resta abbandonata a se stessa. Qui lo scrittore fa una scelta narrativa di grande intelligenza: non mostra il bombardamento su Roma, ma ne fa solo sentire il rumore. E lo fa con tutta la maestria che possiede, in uno stile che è evocativo al massimo grado e che rende quelle pagine una prova di grande letteratura. In seguito mostra dapprima l’indecisione, lo smarrimento dei soldati di fronte all’assoluta mancanza di ordini, all’ignoranza dei fatti. Poi lo sbando, l’arrivo a Roma, la scoperta dell’armistizio, della fuga di Badoglio e del Re, il senso di abbandono e poi il panico, quel non sapere più chi siano i nemici e chi gli amici. In una nazione abbandonata anche da chi la governa, la sola decisione che resta da prendere a Johnny è quella di tornare a casa. Si imbarca così sul treno che lo porterà fino in Piemonte, e strada facendo prende la decisione di unirsi alle formazioni partigiane.



Un autore, insomma, di gran razza. Un autore che ora più che mai andrebbe riscoperto, letto e amato. Soprattutto, dovrebbe finire nelle mani non soltanto degli appassionati del periodo storico ma di chiunque cerchi un esempio di scrittura bella e sia interessato a scoprire un esponente sui generis della letteratura italiana.

I dati del libro, per chi sia interessato all’acquisto:
Titolo: “Primavera di bellezza”
Autore: Beppe Fenoglio
Editore: Einaudi
Pagine: 186
Prezzo: 10,00 €







2 commenti:

  1. Io di questo autore ho letto solo Il Partigiano Johnny e mi piacque tantissimo. Ho letto il brano che hai tratto dal libro, ed è veramente evocativo, sembra una poesia **.
    Fai una recensione di un libro che non mi piacerà altrimenti la colonnina sul mio comodino invece di diminuire crollerà rovinosamente sotto una montagna di libri nuovi ^^.
    Bellissima recensione.

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  2. Ma ciao! Oh, il "Partigiano" sarà una delle future recensioni, e se ti è piaciuto quello non dubito che amerai anche questo, anche perché come hai visto il protagonista è in comune (anzi, questo è più breve ma riesce a dare spazio anche alla conclusione della vicenda di Johnny, che nell'altro romanzo non c'è essendo purtroppo rimasto incompiuto). Eppure in qualche modo ogni romanzo di Fenoglio, pur riprendendo temi e personaggi già visti, è un'esperienza a sé: i suoi sono mondi che si ricreano dalle stesse basi, ogni volta con punti di contatto e divergenze. Poi io con lui sono di parte, credo di poter dire che sia il mio autore italiano preferito! :)

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